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Match Frame #5
Benvenute e benvenuti al nuovo appuntamento con Match Frame - la newsletter di Montatori Anonimi.
Oggi cominciamo con due addii. Il primo è rivolto a Krishna Rao, devoto dell’arte del montaggio che si è spento a Bangalore. Krishna Rao ha montato oltre 200 film soprattutto in lingua telegu e tamil, lavorando con registi come K. Viswanath e Bapu. Se non lo avete mai sentito nominare, non c’è da stupirsi: i montatori, lo sappiamo, vengono raramente ricordati. Ma se consideriamo che Sankarabharanam (prendetevi il tempo di guardarlo: è un piccolo gioiello!) è tra i più importanti film della cinematografia indiana - che è una delle cinematografie con più pubblico al mondo - be’ allora davvero Rao è stato uno dei più grandi montatori della storia del cinema mondiale!

PLURALEYES
Passando a qualcosa di più prosaico, bisogna prepararsi a dire addio a PluralEyes, un software al quale molti di noi sono debitori (forse anche economicamente…) e che a breve non useremo più.
Dal 1 febbraio, infatti, PluralEyes è entrato in “Limited maintenance mode”, il che significa, come si può leggere sul sito della Maxon, che non saranno più rilasciati aggiornamenti e che sarà possibile scaricare il software e ricevere assistenza per un anno ancora - e poi addio.

PluralEyes è stato sicuramente un software rivoluzionario - e molti di noi forse ne hanno approfittato per non imparare a sincronizzare manualmente, ma questo è un altro discorso. Ideato da Bruce Sharpe per la Singular Software e rilasciato nel 2009, venne acquistato nel 2011 dalla Red Giant (la stessa di Magic Bullet) a sua volta acquisita nel 2020 dalla Maxon. C’è da dire che oggi tutti i software di montaggio offrono la possibilità di sincronizzare tramite il confronto delle forme d’onda (persino Avid!), sebbene tutti con diverse limitazioni… Al momento, che noi sappiamo, resta un solo software in grado di sostituire PluralEyes. Si chiama Syncalia, e nella versione di prova consente di sincronizzare fino a 20 clip su due tracce, per 20 giorni. Provatelo, se temete di sentirvi orfani di PluralEyes. Oppure imparate a sincronizzare a mano!
NON CONSUMATORI MA ABBONATI
Vi sembra apocalittico? Uno slogan un po’ troppo d’effetto? Eppure tutti i segnali vanno in quella direzione. Il capitale (e perdonate la terminologia vetero-ecc, ma di quello stiamo parlando) ha capito che vendere non basta più: i veri ricavi si fanno affittando servizi accessorii. È cominciato tutto con i software - gli abbonamenti e i freemium. Oggi alcune case automobilistiche progettano di inserire servizi a pagamento sugli stessi veicoli, come la possibilità di raggiungere una certa velocità o persino il riscaldamento sui sedili. Gli stessi finanziamenti per acquistare le auto sono ormai una sorta di leasing, in pratica dei noleggi mascherati con la possibilità di restituzione del mezzo dopo alcuni anni. E se pensate che questo sia un affare, pensateci di nuovo. In un certo senso è l’abolizione della proprietà privata - ma solo per le classi più deboli. Qualcuno penserà che sarà pure comodo non possedere nulla, ma forse è spaventoso sapere che tutto ciò che non possediamo è in realtà posseduto da altri, che ce lo concedono in affitto - bontà loro. Si chiama Fintech (Financial Technology): una parola che presto diventerà d’uso corrente.
Apple sta infatti progettando una formula per concedere a noleggio il proprio hardware. Si chiama Project Breakout e il principio è semplice ed è in parte già operativo con alcuni modelli di iPhone e nei programmi aziendali: il costo viene suddiviso nell’arco di due anni, al termine dei quali puoi decidere se saldare la differenza oppure restituirlo per averne uno nuovo. E fin qui niente di speciale, direte. In realtà il futuro sistema di Apple sarà un vero e proprio affitto accompagnato da ulteriori servizi e incentivi come AppleCare. Insomma, se l’iPhone nuovo è per il momento vostro e voi potete decidere se tenerlo o restituirlo dopo due anni, il nuovo programma prevede che i computer restino di proprietà della compagnia. Ed è vero che forse i costi sembrano inizialmente minori per l’utente. Ma è anche vero che in questo modo l’utente viene intrappolato per sempre in un sistema di pagamenti a ciclo continuo. L’hardware che continueremo a pagare per anni avrà per la casa produttrice lo stesso valore che aveva all’acquisto, e non potremo rivenderlo per, magari, rientrare di una parte della spesa e avere un upgrade. Il momento di aggiornare le nostre macchine sarà deciso dalla casa madre - che probabilmente sarà anche la compagnia finanziaria, dal momento che, oltre a un sistema di finanziamento, Apple sta anche per lanciare sul mercato anche una carta di credito - e noi dovremo adeguarci. Utopistico o distopico?
QUESTIONI DI LOTTA DI CLASSE
Un numero politico, questo, a quanto pare. Anche perché tutto è politico, per restare in tema di slogan vetero-ecc. Qui parliamo direttamente di classi sociali. Voi a che classe appartenete? Rispondete sinceramente, tanto non vi sente nessuno.
De Andrè si diceva fiero delle sue origini borghesi. Ma nelle arti, nel cinema, nella letteratura, nella musica, non erano in molti a vantare, negli anni del dopoguerra e del boom economico, provenienze agiate. Secondo un recente studio pubblicato dalla British Sociological Association, tra i lavoratori dello spettacolo nati tra il 1953 e il 1962 il 16.4% proveniva da classi lavoratrici, mentre oggi quella percentuale è scesa al 7.9%. Almeno in Inghilterra, s'intende - sarebbe interessante uno studio simile sull'Italia, dove probabilmente la percentuale era molto più alta fino agli anni '70 mentre oggi è decisamente più bassa.
In realtà, prosegue lo studio, questa percentuale riflette un calo generale nell'occupazione tra le classi meno abbienti. Il che è inquietante in sé. Per quanto riguarda lo spettacolo, inoltre, dimostra se non altro un impoverimento culturale. Come scrisse Eddie Marsan alcuni anni fa sul Guardian, come si può parlare del mondo in cui viviamo, se di questo mondo ne viene rappresentata sempre solo una parte? Se mancano sceneggiatori, registi, produttori e critici provenienti dalle classi meno abbienti, non avremo nessuno che rappresenti davvero quella fetta di società. E infatti ci lamentiamo che nei film e nelle fiction italiane gli studenti vivono in appartamenti enormi del centro, mentre per rappresentare le case di periferia la discriminante è l'arredamento Ikea. Ma oltre all'aspetto scenografico, c'è la questione tematica, di maggior rilievo. Le classi meno agiate non sono rappresentate, se non nei film sulla tratta dei migranti. Ma non c'è autore e regista che viva - se non da turista - quelle condizioni. E anche se ci fossero, nessuno gli darebbe retta, perché non avrebbero modo di entrare in contatto con produttori e finanziatori. Quale impatto e quale vita può avere lo spettacolo - l'arte - quando si rivolge soltanto a una parte della società?
Per questo numero è tutto. Ma prima di salutarci, una cosa bella: una foto di Rutger Hauer sul set di Blade Runner.
